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Eros e la nudit ebook

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Eros e la nudità di Ninnj Di Stefano Busà   E.book. di musiche e poesia, Radio Bruxelles    a cura di Bruno Trombetta e Tony Esposito                                          

 

Per chi volesse leggerla, la raccolta completa è su Fb con varianti aggiuntive rispetto alla 1 edizione-stampa (Tracce)

 

 

Eugenio Nastasi

 

La progressiva delegittimazione di alcuni fondamentali modelli culturali, verificatasi in forme sempre più eclatanti in quest’ultimo scorcio di tempo tra secolo “breve” e nuovo secolo, e mi riferisco in special modo ai canoni estetici dei grandi temi letterari, primo fra tutto quello amoroso, era stata in qualche modo mascherata dalla topografia ideologica, nazionale e non, che si organizzava, giustificandole, in aree di appartenenza tutte possibili e/o praticabili: marxiste, laiche, cattoliche. Oggi più che mai si assiste ad un rimescolamento di carte le cui radici nascono dalla crisi del pensiero moderno che, paradossalmente, conduce ogni tipo di impostazione allo spaesamento dell’uomo contemporaneo non soltanto come fenomeno di costume ma come un fenomeno complesso che ha bisogno di essere indagato in profondità.

Questa problematica si avverte da subito nel poema amoroso di Ninnj  Di Stefano Busà, Eros e la nudità, in cui il “di più” della cultura rispetto alla maniera consiste precisamente nel sollevare il velo mortificante dell’ovvietà:

Gioca a gatto e topo l’Eros,/cerca nel tuo corpo la ragione vitale dell’esser(ci)”: dove è palpabile un’istanza di autonomia gergale che già si manifesta, come vedremo in seguito, ora assumendo un atteggiamento frontale ora invece spingendosi fino alla pretesa di assorbire la stessa categoria erotica quale idea provvidenziale nella storia delle “solitudini” e contro la nostalgia delle “rughe” poiché : “un’altra acqua disseterà la nostra sete”.

  Lo stesso Perilli, nella sua sorvegliatissima  lettura critica, pone l’accento  sul “Sorso d’Eros./dono d’occhi che accende le tenebre” dicendola tutta sulla spinta galvanicamente poetica della Di Stefano Busà assistita da una ragione “forte”, capace di esprimere un quadro poetico sistematico e coerente e di garantire, aggiungiamo noi, forte progettualità a livello stilistico e propulsivo. Si potrebbe avanzare un’illazione heideggeriana, se non andiamo troppo per il sottile, nell’analisi dei morfemi visto che ne “…la ragione vitale dell’esser(ci)”, l’autrice liquida in un guizzo il dasein del filosofo tedesco da problema di coscienza storica a esigenza pulsionale di autodifesa.

Tutto l’edificio versificatorio della Nostra si delinea come sistema monolitico di accortezza e indulgenza sensoriale, districandosi tra bisogno di purezza e anelito di fedeltà alla propria immagine interiore, dando alla raccolta una speciale rudezza, quel modo di verso spezzato e senza sospetto di eleganza che costantemente ci mette di fronte al numero stesso della sua sincerità, della sua inevitabile materia di confessione:

Un guizzo ed è amore, sbocciato/dalla grazia di una rosa che sa la siccità/del deserto”.

E proprio per una simile felice coincidenza di virtù intellettuale e sorvegliatamente erotica che il suo discorso non è mai tradotto sulla carta, dacchè Ninnj Di Stefano Busà inventa tanto per sé quanto per noi una nuova geografia della “nudità”, bastevole di poche linee o cifre eliminando il gusto delle descrizioni e quella parte di verbosità a cui si affidano quasi tutti quelli che trattano la materia amorosa. I suoi testi, inseguendosi quasi per induzione, per prossimità di accensioni squisitamente corporali, vibrano per la qualità delle parole lasciando emergere fantasie e concetti che tendono verso la confezione definitiva ma, nello stesso tempo, vengono rimossi continuamente verso altri lidi, senza preoccupazioni risolutive:

“…Ci tiene uniti una proiezione di noi stessi,/ i nostri dialoghi a distanza,/la mèta sempre in forse, qualche pioggia,/che dilava le virgole smarrite/ dentro episodi di gioia riflessa”.

Insomma non si crede di esagerare quando si afferma che il suo testo conosce il limite della purezza se le domande, le interrelazioni che la scrittrice mette quasi inavvertitamente nella sua pagina, pure strette alle ragioni fondamentali della sua iniziale pronunzia, vengono come governate dal pudore del suo gesto che non le consente di disegnare sul testo l’amplificazione delle sue offerte e in Ninnj Di Stefano Busà l’autocontrollo dei sensi è doppio: lo si ritrova alla fine come al principi del suo discorso; per questo, come si lasciava intendere all’inizio di questa nota di lettura, la sua poesia ha superato lo scoglio dell’occasione e del tonale, guadagnando una consistenza di armonia naturale e conservando una funzione vitale.

Ma si badi: non è stata una scelta di soluzione consentanea più al suo stesso essere donna prima che poeta: la Nostra pone la fedeltà del suo essere poeta sullo stesso discrimine del femminile, semplicemente come atto di vita e quindi di poesia. Gioca a carte scoperte, per quanta vita trascorsa si è inverata in poesia e in amorose latitudini; l’accorgimento letterario quando c’è ha lo stesso perimetro della passione e di una movimentata orchestrazione di sangue e di lombi e tutto il suo poetare adempie all’obbligo di un intenso e favoloso diario di donna viva, esemplare e nuova nella sua sensibilità, ma greca nel suo dramma: “Se scrivo è per amore, per comporre/le minime radici, riproporre al vento/ il tuo nome, la sillaba ripetuta che a tratti/ si perde in qualche rima…” e subito dopo, in chiusura. “…Mi basta il poco del tuo sguardo/ che leghi l’attimo e il silenzio,/nient’altro che rimuovi il fuoco alle radici”. Da qui un rotolare di frammenti che, in contrappunto,  chiudono e riprendono la mistica dei silenzi, la scia degli amplessi, il teorema della morte tenuto a distanza ma non troppo dallo sparire all’orizzonte, poiché il perimetro della vita si riduce a “quel dettaglio” e “la bellezza sfiorisce” inesorabile; ma prima era stata già data la consegna condivisa di un altro sogno, più certo perché ulteriore e immateriale, “un miserere per l’inverno/ una canzone senza tempo”, “oltre noi stessi”: ce n’è abbastanza per colmare le distanze tra l’amorosa avventura e il punto genuino della sua dizione, pronta qui, in questo bel libro, a sistemarsi come conoscenza di una poetica matura e dunque necessaria.

 

                                                                                             Eugenio Nastasi

 

 

 

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